Parte 1
Cosa si intende per mascolinità tossica?
Quando parliamo di “mascolinità tossica” ci riferiamo ai comportamenti generati dalla società che descrivono il ruolo di genere mascolino come “violento, non emotivo” e, spesso, viene anche definita come “mascolinità obbligata”.
Questo genere di manifestazioni è dovuto principalmente a pregiudizi antiquati in base ai quali l’uomo, rivendicando la sua parte “animale” prevale sugli altri soggetti della società, imponendo la propria autorità a suon di voce grossa e violenza.
Questo atteggiamento trova ancora ampie rappresentazioni, non soltanto nei confronti delle donne, ma colpisce, anche duramente, tutti quegli uomini che non rientrano in questo schema: tutto ciò trova un grosso raffronto anche in altre sfere della vita sociale, ad esempio lo stesso mondo dell’arte trasuda di questi retaggi, pensiamo al classico stereotipo in base al quale soltanto le donne possono praticare la danza classica oppure soltanto gli uomini possono entrare nel mondo della musica rap.
La società attuale e i doppi standard
Perché sono quelli che meglio descrivono questi doppi standard, infatti è chiaro che ancora si confina tutto ciò che è considerato “delicato” ad una sfera prettamente femminile, come se gli uomini non fossero in grado di provare quel genere di emozioni ma soprattutto come se fosse una vergogna mostrarsi più sensibili.
Purtroppo ambienti come il mondo dell’hip hop, del rap, della trap non sono esclusi da questo discorso, probabilmente perché la loro origine proviene dalla strada e, automaticamente, li si è sempre ricollegati ad un contesto più da duro, anzi da duri, da persone “forgiate e cresciute” dalla e per la strada e, dunque, se ne deduce che una giovane donna non possa essere in grado di avere a che fare con questo stile di vita; certo, oggi non è la stessa cosa di 20 anni fa, sempre più donne si avvicinano alla scena pop e rap ma non possiamo dimenticare, a causa di questi progressi, quanto sia stato difficile anche per una stella come Nicki Minaj imporsi nella scena musicale americana e non.
Neanche gli artisti k-pop, o meglio, neanche il panorama musicale coreano è esente da colpe, infatti soltanto recentemente ha iniziato ad aprirsi ad una maggiore varietà, per esempio gli stessi BTS, ora artisti acclamati a livello internazionale, hanno subito (e subiscono ancora) delle forti ripercussioni e prese in giro per il proprio modo di fare musica ma anche e soprattutto per il modo di vestire e per il trucco.
Nel novembre del 2013, durante una convention di musica hip hop, alcuni esponenti della scena hanno deriso i membri RM e Suga definendoli “ragazzine” soltanto perché si era preferito fargli indossare della matita nera negli occhi (nonostante ciò fosse totalmente in linea con lo stile del gruppo ai tempi, perché ci riferiamo al loro debutto, quindi il periodo dell’album “2 Cool 4 Skool” o del brano “No more dream” che prevedeva un look più dark e ribelle, un po’ alla Avril Lavigne ai tempi di “Sk8ter boi”) e quindi per questa piccolezza, senza alcuna valutazione o correlazione con le loro competenze, non erano degni di appartenere e rappresentare la scena rap (uno dei relatori disse “you are on the right path but strayed away”, come a dirgli che sì, le potenzialità c’erano ma che erano impiegate nel modo peggiore e che, quindi, sarebbe stato un sogno molto breve).
La cosa più interessante di tutta la vicenda, al di là dell’infelicità del collegamento tra make-up e “l’impossibilità d’essere rapper”, è la scelta terminologica che fa rabbrividire perché vennero adoperati i concetti di “cose da femmina”, “femminuccia”, “fare cose da ragazze” con una connotazione assolutamente dispregiativa, come se essere donne sia quasi uno svantaggio di partenza, un disonore e ciò che rattrista maggiormente è che, ad affermare ciò, soltanto 8 anni fa, erano soggetti che “lavorano con le parole”, soggetti che conoscono bene il significato e il peso delle parole adoperate, sanno quanto una scelta possa far male o andare più in profondità rispetto ad un’altra: l’obiettivo era quello di ferire l’orgoglio dei due giovani artisti, in qualità di rappresentanti del gruppo, paragonandoli a delle ragazzine, incapaci di sopravvivere in quel mondo. Non è, forse, questo un esempio lampante di mascolinità tossica all’azione?
Il classico uomo, forte della propria posizione, che tenta di stabilire l’ordine delle cose e di rimettere al suo posto chi cerca di scampare alle gerarchie imposte dalla società.
Siamo tutti vittime, indistintamente
Pensare, o illudersi, ancora che la sfera emotiva sia solamente una “questione femminile” equivale a nascondersi dietro ad un dito e far sentire inadeguati tutti coloro che non rispecchiano la forma standard dell’uomo forte che non si lascia abbattere da niente e che non fa trapelare alcuna insicurezza: questo non soltanto è dannifico ma anche pericoloso perché negare la validità e il valore di quelle sensazioni non fa altro che ingigantirle e renderle dei mostri contro i quali sarà difficile combattere.
Gli uomini, al pari delle donne e di qualsiasi essere, devono essere autorizzati ad esprimersi liberamente e devono andare contro l’ideale di questa società patriarcale perché le seconde vittime sono proprio loro, è la
loro intimità, la loro sicurezza e stabilità mentale: se dovessimo riassumere il tutto in uno slogan, probabilmente sarebbe “liberi di piangere”, piangere di gioia, dal dolore, dalla frustrazione o dalle risate, non importa di che genere siano le lacrime, l’importante è tirarle fuori e dargli un peso.
Per concludere questo primo, speriamo interessante, episodio di “Mascolinità tossica vs Kpop”, vi consigliamo la visione di questo video che rappresenta appieno l’importanza del cambiamento al quale stiamo assistendo.
Autrice: Bianca Cannarella
Eterna Sagittario, è capitata in questo mondo per sbaglio e non ne è più uscita, riscoprendo se stessa e ciò che la circonda. Un giorno sì e l’altro pure sogna di scappare in Corea: probabilmente lo farà molto presto. Il suo motto preferito è: 시작이 반이다, “l’inizio è la metà”.