- Nome: Nido di vipere
- Genere: Thriller/Black comedy
- Anno: 2021
- Durata: 108 minuti
- Distribuito da: Officine UBU
Se dopo l’enorme successo internazionale di Parasite pensavamo che nessun altro film coreano sarebbe riuscito ad arrivare nelle sale italiane, ci sbagliavamo di grosso. Perché?
Perché il 15 settembre uscirà nei cinema italiani Nido di vipere (Beasts clawing at straws), un thriller diretto da Kim Yong-hoon e tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore di gialli giapponese Keisuke Sone, distribuito da Officine UBU.
La trama
In Nido di vipere, i destini di quattro personaggi ai margini della società si intrecciano in modo imprevedibile quando un umile inserviente trova una borsa piena di denaro abbandonata in un armadietto. L’inatteso tesoro diventa ben presto un’arma a doppio taglio, nascondendo dietro di sé un intreccio di storie di spietati malviventi ed esistenze miserabili. Tra omicidi, tradimenti, colpi di fortuna e sfortuna, i destini beffardi dei quattro protagonisti s’incrociano, cacciandoli in guai sempre più profondi, in un disperato gioco senza esclusione di colpi.
Questo film permette di vedere, ancora una volta, personaggi di tutte le estrazioni sociali scontrarsi nell’arena di battaglia, riprendendo quello che è un classico della cinematografia coreana, espediente spesso e volentieri ripreso da molti registi e sceneggiatori non solo nei film ma anche nei K-drama, per sottolineare ancora una volta le ambiguità e le ombre della società coreana.
Così com’era stato per Parasite, e più di recente con Squid Game e La casa di carta: Corea, i protagonisti di questa pellicola sono mossi da un istinto quasi primordiale di prevalere sugli altri, nel disperato tentativo di dare una svolta alla propria vita e porre un punto all’esistenza di stenti che stavano conducendo fino a quel momento: il denaro diventa uno spiraglio di luce, una remota possibilità di felicità e i protagonisti saranno disposti a tutto pur di mettere le proprie mani su quel denaro.
Il cast
Il cast di questo film vanta alcuni nomi molto interessanti della scena coreana, non solo attori di cinema ma anche di teatro e della tv, ad esempio vediamo Jeon Do-yeon (vincitrice del premio come Migliore Attrice al Festival di Cannes per Secret Sunshine di Lee Chang-dong nel 2007) nelle vesti della proprietaria di un night club che sogna di abbandonare il suo passato turbolento e ricominciare da capo, oppure Jung Woo-sung (famoso per il suo carattere ribelle alla James Dean e per le interpretazioni magistrali di personaggi molto solitari) che interpreta un uomo messo alle strette a causa della sua ragazza, misteriosamente scomparsa dopo avergli lasciato un grosso debito da colmare con uno strozzino, oppure ancora Youn Yuh-jung (presente nella serie Netflix delle sorelle Wachowski Sense8 e vincitrice nel 2021 del Premio Oscar alla Migliore Attrice non Protagonista per la sua interpretazione in Minari di Lee Isaac Chung) nei panni di una donna diffidente che vive nei suoi ricordi.
La regia
Nido di vipere segna il debutto ufficiale alla regia di un lungometraggio di Kim Yong-hoon.
L’atmosfera creata dal regista riprende molto quella di Pulp Fiction di Tarantino o dei film noir dei fratelli Coen, il tutto condito con una sceneggiatura fresca e mai banale: la pellicola mostra uno spaccato, talvolta ironico, talvolta demotivante, della natura umana e delle sue mille sfaccettature che è possibile osservare nelle situazioni estreme, come quella nella quale sono calati i personaggi.
Anche se il film descrive personaggi che si stanno lentamente trasformando in bestie che non esitano davanti a nulla e giustificano l’immoralità, questo film racconta una storia normale che può accadere nella vita reale, quindi ho fatto il possibile per mostrare la loro disperazione. […] Il desiderio di questi personaggi di vivere vite normali e senza imprevisti risulta molto ironico agli occhi del pubblico.
Kim Yong-hoon
Gli spazi del film
Il film è stato interamente girato nella città portuale di Pyeongtaek, nella provincia di Gyeonggi, e la scelta non è stata affatto casuale perché il porto è un luogo dal quale è possibile entrare e uscire facilmente dal paese e, allo stesso modo, il denaro contenuto nella borsa tanto contesa dai personaggi non può che essere visto come un porto, dal quale partire e lasciare indietro tutte le sfortune e i dispiaceri della vita passata.
La vera particolarità di questo film, però, sta anche nelle scenografie, il cui obiettivo principe era quello di esprimere la psicologia dei personaggi attraverso gli spazi in cui si muovono, infatti lo stesso scenografo Han Ah-rum affermerà che:
“Gli spazi dei personaggi dovevano dare l’impressione che tutto si stesse sgretolando attorno a loro e la loro decisione di trasformarsi in bestie doveva sembrare una progressione naturale, un posto da cui volevano fuggire”
Uno dei soggetti che ha permesso che questa esteriorizzazione della psicologia dei personaggi fosse possibile è stato il Direttore della Fotografia Kim Tae-sung, premiato ai 38° Golden Cinematography Awards per il premio per la migliore fotografia: infatti, è merito suo se i pensieri più reconditi nelle menti di questi personaggi verranno alla luce, senza mai scatenare alcun sentimento di compassione o pietà nello spettatore ma una empatia intima e profonda.
Noi non vediamo l’ora di poter assistere alla proiezione di questo film e siamo curiose di sapere quale altra sfumatura della società coreana ci verrà mostrata. E voi? Andrete a vederlo? Fatecelo sapere nei commenti!